A review by melanto_mori
Il trentunesimo giorno by Dario Tonani

3.0

La lettura di questo romanzo ha avuto un parto lunghissimo e travagliato.
Non è stata colpa del libro, ovviamente, ma della sfortuna di iniziarlo nel periodo peggiore: quello delle feste natalizie, cui è seguito l’inscatolamento frenetico dovuto al trasloco. Ho avuto quindi modo di poterlo riprendere (dopo averne letto una 50ina di pagine) e di completarlo solo adesso.
E proprio perché ci ho messo così tanto, avrei voluto che la recensione potesse essere qualcosa di entusiasta e positivo… ahimé non sarà così, perché davvero (davvero, accidenti! È la prima volta che mi capita) io questo romanzo non l’ho capito.
Ci ho provato, ho riletto anche alcuni pezzi, sono tornata indietro varie volte, ma niente. Arrivata alla fine, io non ho capito il senso di tutta la storia che è stata narrata.

SpoilerParte con delle ottime premesse, l’ambientazione distopica mi piace molto, tanto che quando c’è stato il periodo che a Torino ha piovuto una settimana di fila ho subito pensato: “Oh, stai a vedere che siamo entrati nel mondo de Il Trentunesimo Giorno”. Anche i protagonisti mi sono piaciuti (chi più e chi meno, di sicuro ho preferito Alvaro, mentre Evelyne a volte l’ho trovata troppo infantile). Ma c’è qualcosa nel senso della storia che io devo aver proprio perso per strada, perché una volta arrivata a fine lettura mi sono detta: okay… e quindi?
La narrazione parte che il problema di questa pioggia incessante già è più che iniziato, quindi siamo catapultati nel mezzo dell’azione. Evelyne e Alvaro si incrociano e iniziano questo viaggio insieme, in cui abbiamo Eve che è ancora una ragazzina mentre Alvaro è uomo fatto e finito… quindi la prima cosa che mi sono persa è quando questo passaggio da “estranei che diventano amici con vibes da famiglia” diventa “abbiamo una tresca” (l’osservazione sulle chiappe di Evelyne è stata d’un cringe…).
La seconda è stata l’inserimento di una serie di intermezzi, chiamiamoli così, in cui si vede già molto più avanti del tempo narrativo delle vicende slegate che sono ambientate in diverse parti del mondo. Pensavo che avrei scoperto la loro utilità avviandomi alla fine, invece no: sono solo eventi slegati che a volte mi hanno confuso perché si era già più avanti e poi si tornava indietro per riprendere le fila della narrazione.
Terza cosa: ma Grimilde e Fabris? A un certo punto perdiamo le tracce di questi due personaggi, nel momento peggiore – soprattutto per Grimilde – e quindi posso solo ipotizzare cosa sia accaduto. Tra l’altro, ho trovato il comportamento di Grimilde un po’ too much nell’economia della storia.
E anche quelli del culto strano, dove camminano tutti legati… sembravano avere una certa importanza e invece anche loro spariti nel nulla.
Così come non ho trovato il senso di tutta una serie di morti in rapida successione (se avevo trovato un senso nella morte della tigre, per esempio, in quella di Camise non ne ho trovato mezzo) e dell’alzare il ritmo narrativo degli accadimenti mettendone uno dietro l’altro. Narrativamente parlando non c’è respiro né per i personaggi né per i lettori, e se in generale a me le cose adrenaliniche piacciono parecchio qui l’ho trovato quasi fastidioso (forse perché mi sembrava che a questi due ne stessero capitando decisamente troppe una dietro l’altra senza; dei Gennarini Passaguai). Quando Pivello viene morso dal cane, lo ammetto, ho alzato gli occhi.

Un gran peccato, perché lo stile di scrittura era molto piacevole, ma non è sufficiente a reggere da solo un libro. L’ultimo capitolo e l’epilogo, poi, mi hanno lasciato davvero con una certa amarezza, perché non riuscivo a trovare la quadra o il punto in cui tirare tutte le fila della vicenda. Forse nemmeno mi interessava sapere la spiegazione per le morti galleggianti, ma che almeno le vicende dei protagonisti avessero un fine chiara, quello sì.